Sport, valori e inclusione sociale

6. LO SPORT SA ESSERE DAVVERO INCLUSIVO?

Nel sesto appuntamento del ciclo “Sport, valori e inclusione sociale”, Caterina Gozzoli – psicologa, Università Cattolica di Milano – ci aiuta a comprendere le potenzialità dello sport come strumento di inclusione.  

 

Lo sport – afferma Caterina Gozzoli – non è automaticamente veicolo di valori e mezzo inclusivo. Sicuramente la pratica sportiva possiede tante potenzialità: educare al gioco, divertire e generare benessere; ma è importante agire in modo consapevole. Perché lo sport possa effettivamente educare all’inclusione sociale è quindi necessario acquisire e mettere al lavoro specifiche competenze professionali. Ma questa sensibilità ad un formazione necessariamente interdisciplinare è forse il punto più debole sul quale il mondo sportivo è chiamato a lavorare.  

 

Entrando nel vivo dell’incontro, il dialogo si focalizza sull’importanza del monitoraggio dei progetti volti all’inclusione giovanile e sulle difficoltà che spesso caratterizzano queste tipologie d'intervento. In quest'ottica, anche un "progetto fallito", sottolinea Caterina Gozzoli, può rivelarsi utile per comprendere cosa non funzioni e a cosa sia necessario ripensare affinchè lo sport sia realmente uno strumento inclusivo.

Da dove iniziare? In primo luogo, è necessario «abbassare l’idealizzazione dello sport come strumento capace, di per sè,  di includere e di fare cittadinanza».

 

Il termine “inclusione”, osserva ancora Caterina Gozzoli, forse non è neppure il più adatto da utilizzare. Si tratta piuttosto di chiarire, fin dall’inizio, le intenzioni dello sport, offrendolo come un’occasione in grado di potenziare gli elementi che derivano dalle differenze e di coniugare i propri valori con quelli di altri. È indispensabile, a questo punto, circondarsi di “professionalità alte”, in grado di rispondere alla voglia di imparare di coloro che si avvicinano allo sport e di tenere conto della dimensione relazionale, perché «senza affettività non apprendiamo».

 

 

Quando lo sport è realmente capace di includere e cosa rende lo sport uno strumento efficace di inclusione sociale? 

Caterina Gozzoli ritiene fondamentale partire innanzitutto da un dato: chi lo pratica lo fa perché vuole imparare quella determerminata disciplica; serve quindi una serietà e competenza professionale da parte degli allenatori; è essenziale saper prendersi cura della dimensione relazionale; gli ambienti di apprendimento devono essere studiati e in grado di trasmettere fiducia. 

 

Riflettendo sullo sport come ambiente di apprendimento in grado di disinnescare i conflitti e educare all'accettazione inclusiva delle differenze, Caterina Gozzoli afferma che «tali competenze professionali devono diventare patrimonio di chi poi, ogni giorno, si trova a lavorare con i ragazzi».  Il ruolo dell’allenatore, professionalmente e umanamente preparato, è dunque sostanziale e insostituibile. Alle sue spalle deve esserci però una connessione con le altre figure professionali, quali educatori e psicologi che lo aiutino a maturare quelle competenze di cui il suo ruolo di tecnico, di educatore e di mediatore ha così bisogno.

 

 

Per approfondire questi temi e scoprire a fondo la figura della nostra ospite, riflettendo ancora meglio sul valore delle sue parole, vi lasciamo qui il video completo dell’incontro!